Santuario del Pilastrello - IL MONASTERO E IL SALONE DEL PELLEGRINO

 
Alcuni documenti d'archivio ricordano don Teofilo Malmignati, primo priore, come l'iniziatore del monastero che poi venne inaugurato il 1° settembre 1582 e abitato dai primi sei monaci. Nel '600 aveva al piano terra un refettorio, una cucina e un vano congiunto con la chiesa mentre al primo piano, oltre le celle dei monaci, c'era il «coro degli ammalati», ora usato come cappella, dotato di finestre circolari a contatto con la chiesa per permettere ai monaci infermi o agli ammalati di assistere alle funzioni religiose. I due piani furono collegati con una scala a due rampe «comoda e decorosa», nel primo decennio del '700. Pochi anni dopo, nel 1724, quando era superiore don Giacomo Maria Petrobelli, si restaurò una parte del monastero e in particolare il refettorio, la cucina, la dispensa, la lavanderia e il pozzo e si alzò sopra il refettorio una nuova camera.

   Il decreto di soppressione del monastero del 19 febbraio 1771 portò i monaci Olivetani a lasciare Lendinara. Le chiavi della chiesa furono consegnate all'arciprete di S. Sofia, mentre il monastero e il terreno, così come altri beni dei padri Olivetani furono inizialmente dati in affitto e quindi venduti; la proprietà del santuario comunque venne riconosciuta al Comune.

   Soltanto l'1 agosto 1905 i padri benedettini poterono tornare a Lendinara. Nel 1907 don Luigi Maria Perego si occupò dello sviluppo del monastero apportandovi modifiche, rinnovi e aggiunte, che vennero effettuate anche nel 1912.

   Nel 1935 l'abate Zilianti fece ampliare il monastero ed erigere il salone del Pellegrino, previa demolizione di adiacenze e portici, su disegno dell'ingegnere Paolo Fasiol, podestà di Lendinara. L'intento dell'abate era quello di offrire un locale di accoglienza a tutti i pellegrini che venivano da lontano a pregare la Madonna del Santuario del Pilastrello.

   Il Salone del Pilastrello posto parallelamente al Santuario, delimita un cortile interno del monastero chiuso negli altri due lati da una parte dalla Cappella del Bagno (alla quale è collegato tramite un portico) dall'altra parte da ambienti di servizio del monastero stesso. Fu realizzato lungo la ex via Bragalaro e il terreno adiacente, entrambi ceduti dal Comune. Il Salone del Pellegrino è raggiungibile sia dalla chiesa, passando attraverso l'atrio della Cappella del Bagno, sia da un altro cortile posto su retro del monastero.

   L'abate Zilianti lo descrive fiancheggiato da un artistico portico trecentesco. All'interno del salone riferisce della presenza di un buon numero di pregevoli tele che gli davano l'aspetto d'una pinacoteca.

   Dopo gli spostamenti di vari dipinti nella chiesa si sono conservati nel Salone il busto marmoreo dell'abate Celestino Colombo, opera pregevole dello scultore A. Zonaro, e alcuni quadri fra i quali:
l'adorazione dei Magi;
e la Circoncisione di Gesù di Giacomo Pedralli, bresciano;
Maria Vergine con il Cristo morto, S. Benedetto, S. Scolastica, il Beato Bernardo Tolomei e S. Placido martire eseguita da Paolo Martini, detto l'Armeno, intorno alla metà del 1700, per commissione dell'abate Giacomo Petrobelli, ritratto nella piccola tela che si poteva ammirare al lato sinistro della grande pala.
 
Altri quadri sono: il San Pietro Apostolo e la Madonna con Bambino e S. Giovannino.
 
Allo stato attuale il Salone del Pellegrino è in attesa di interventi di restauro, anche in vista della sua utilizzazione quale sede espositiva di opere d'arte e degli ex-voto del Santuario.

   Durante gli anni in cui era abate Zilianti il numero dei monaci crebbe e il monastero accolse numerosi novizi olivetani. Nel 1946 fece eseguire il disegno e il plastico per costruire ex-novo il monastero.

   Nello stesso anno divenne abate Amedeo Savoi, sotto la cui reggenza venne realizzato il nuovo monastero, iniziato il 30 aprile 1965 su progetto degli architetti Zamboni e Nervanti. Fu solennemente inaugurato il 15 settembre 1968 dal cardinale Benedettino Benno Gut alla presenza delle autorità provinciali e cittadine, del vescovo, degli abati, di diversi superiori e monaci.